LA SETTIMA VITA
DI REINHOLD MESSNER

Raccontare gli scarponi e le scarpe d’arrampicataper raccontare l’alpinismo.

Sentire parlare certe persone è un po’ come trovarsi in quei luoghi così belli che capitano solo ogni tanto, al punto che ti viene voglia di scattare una fotografia. Ogni cosa che hai intorno ti sembra illuminata da una luce particolare di cui fino a un momento prima non riuscivi ad accorgerti e tutto, il paesaggio e le persone che hai vicino, le cose, ti sembra che abbiano assunto all’improvviso una prospettiva e un significato che prima non avevano. Non ci avevi mai fatto caso prima a quell’ordine e a quella logica delle cose, a quelle simmetrie. Tiri fuori lo smartphone dalla tasca e punti l’obiettivo verso l’orizzonte, provi ad azzeccare un’inquadratura e mentre la cerchi, mentre fissi lo schermo che tieni davanti agli occhi ruotando su te stesso, ti rendi conto che non c’è proprio niente che puoi fotografare. Dentro allo schermo dello smartphone, non c’è niente. Niente che puoi veramente portare via separandolo da tutto il resto. Scatti comunque la tua foto ma quando la guardi, e poi guardi la realtà, capisci che l’unico modo che hai di godere di tutto ciò che hai intorno è capire l’insieme.


Stare a sentire Reinhold Messner che parla di alpinismo e di storia dell’alpinismo fa grossomodo questo effetto qui. È arrivato a La Sportiva a Ziano di Fiemme per l’intervista e dopo i convenevoli, si è cominciato a registrare. Le prime domande per gli intervistatori non sono scivolate via proprio facili. Insomma, parlare con l’alpinista più celebre del mondo, il primo uomo a salire tutte le quattordici montagne di 8.000 metri della terra e poi un sacco di altre cose ancora (Messner spiega di essere alla sua settima vita) mette un po’ in soggezione. Poco alla volta però si è instaurata l’atmosfera giusta, il giusto feeling. Messner ha cominciato a parlare a ruota libera e le sue hanno smesso di essere risposte, da un certo punto in avanti. Era un discorso quello che faceva, in cui tutto sembrava perfettamente logico e comprensibile ed era bello stare ad ascoltare, in silenzio, quel flusso di pensieri e quelle idee. Ogni concetto appariva lineare e a portata di mano, chiaro. Era difficile stabilire dove potesse stare l’inizio o la fine delle risposte alle domande, in realtà. Messner è un visionario, incontenibile. È difficile separare gli argomenti uno dall’altro perché la sua conoscenza dei temi della montagna e dell’alpinismo, forse più in generale degli uomini e del loro sforzo di vivere, è talmente stratificata e lavorata dal tempo che è sbalorditivo afferrare i significati e le suggestioni che propone. Il tema dell’intervista era quello del futuro e Messner parlando di futuro ha parlato soprattutto di visione.


MESSNER A ZIANO. Due momenti della visita di Reinhold Messner allo stabilimento La Sportiva per visionare la ricostruzione degli scarponi storici prodotti per il suo film

«È la visione, in qualsiasi campo, a guidare il progresso». Così, dopo i preliminari, è andato al cuore dell’intervista mettendo a fuoco cinque argomenti. Si è sistemato meglio sulla sedia facendo leva sui braccioli e si è guardato un po’ in giro nella stanza, poi ha proseguito con le parole. «Il successo di La Sportiva, è questo: è la realizzazione. Il fatto che partendo da idee, da progetti, dal lavoro, siano venute fuori delle cose. È la creazione, il successo degli uomini: immaginare e realizzare».

Alla fine dell’intervista Reinhold Messner sembrava avere ancora voglia di parlare e di raccontare. Gli abbiamo chiesto di spiegare nel dettaglio il suo progetto con La Sportiva e del film e lì i suoi occhi si sono accesi di entusiasmo. «Per comprendere a fondo la storia dell’alpinismo, bisogna andare a vedere le calzature. Il tipo di scarpa che gli alpinisti adoperano ci dice se saranno in grado di superare una certa difficoltà, oppure no. Qui - tiene in mano uno scarpone che La Sportiva ha realizzato riproducendo degli scarponi in uso alla fine degli anni ’30 che servirà per le riprese del suo prossimo film - abbiamo una scarpa costruita come veniva fabbricata 90 anni fa. Scarponi come questo venivano usati per avvicinarsi alla montagna, per risalire i ghiaioni fino alla base della parete, per arrampicare fino a una certa difficoltà su roccia e poi per camminare sulla neve dura o sul ghiaccio. Poi, da una certa difficoltà in poi, da una certa epoca in avanti lo scarpone comincia a venire accoppiato con dei ramponi. Nel 1937 al Nanga Parbat sono stati usati degli scarponi come questo che si usavano sulle Alpi, ma con una scarpetta interna per difendersi dal freddo».

Messner racconta trascinato dall’entusiasmo, non c’è più bisogno di fare domande. «È molto bello mettere a confronto le scarpe di ieri con quelle di oggi per comprendere lo sviluppo e la storia dell’alpinismo. Le scarpe di oggi pesano la metà di quelle di ieri e si può resistere a 8.000 metri a -40 °C e sopravvivere, senza congelamenti. Le scarpe che si usano oggi sono il risultato di novanta anni di storia artigianale, di tecnologia e di esperienza accumulata da parte degli alpinisti. Lo stato dell’arte dell’alpinismo di ogni epoca è raccontato dal tipo di scarpe che venivano usate. Per questo voglio farci un film».

Messner quindi racconta del progetto a cui sta lavorando: «Quest’estate girerò un film su Grohman e sulla Cima Grande di Lavaredo che fu scalata per la prima volta nel 1869. Grohman salì per il versante sud questa montagna avvicinandosi con un paio di scarponi pesanti e poi usando delle scarpe più leggere per arrampicare che venivano chiamate scarpe da gatto. Le Guide scalavano con le calze di lana. La storia alpinistica della Cima Grande di Lavaredo ci offre la possibilità di raccontare e di comprendere tutte le fasi della storia dell’alpinismo. Per poter immaginare il futuro serve conoscere la storia e comprendere il passato».