Wer Durch Der Fisch

Sulla via del Pesce, trent’anni dopo

testo di Maurizio 'Manolo' Zanolla


Nella foto: Nel corso di tutta la sua carriera Manolo

ha rappresentato uno dei riferimenti per La Sportiva

© Matteo Mocellin

Mi ero ripromesso che prima o poi sarei ritornato, ma più passava il tempo e più non ne avevo voglia. Nella vita sono tornato a frugare in molti luoghi per rivivere o ritrovare alcuni momenti della mia esistenza ma alla fine è servito solo per capire che non è restato più niente, quei momenti sono andati via per sempre, perfino gli spazi non sembrano più quelli. È tutto diverso. Eppure la voglia di cercare di rivivere quei momenti sul Pesce è stata più forte e alla fine sono andato. Se c’è qualcosa che mi piace in un rifugio sono i visi attorno alle tavolate la sera del giorno prima, sono tutti diversi tra loro, nel modo di vestire e di parlare, è così e basta. E se c’è qualcosa che non mi piace in un rifugio è che tutti sappiano già prima che io possa entrare dentro, dove voglio andare. Mi si avvicina uno, quella presenza mi sorprende, mi chiede qualcosa in tedesco. Non capisco niente, ma quando dice Fisch, rispondo di sì.

Al mattino dopo quando spengo la pila, la luce del giorno non mi rivela nulla di conosciuto, appoggio lo zaino a terra e mi preparo per salire. È presto, sono le sei e trenta. Non è un posto uguale agli altri e non è nemmeno un luogo dove non sono mai stato; quella fessura bagnata la conosco e non mi sembra facile, però i patti sono chiari: vengo, ma solo per tenerti la corda. In ogni caso sto cominciando a preoccuparmi. Non mi ricordo niente ma proprio niente della via, mi sembra tutto eguale e tutto diverso, anche quando guardo in alto in cerca di quella nicchia, non la riesco a vedere.

Le corde si tendono e devo partire, è il mio turno. Non è facile.
È bagnato e la roccia sembra rimanerti in mano, non c’è niente, nemmeno un chiodo; è stato bravo Omar, è passato leggero e veloce. Forse sarà per quei due che abbiamo alle calcagna ma alla sosta invece che fermarmi tiro dritto e vado avanti, tanto per non perdere tempo. Poi continuiamo così. Quei due che ci seguono spariscono però mi pento subito della mia scelta di andare da primo e in quella fessura fradicia mi ritrovo a scalare controvoglia, quel che è facile diventa difficile e tutto ritorna come prima giù in basso, uguale, grigio, confuso. E perdo il sacchetto della magnesite.

Non volevo ma per la sorte dei tiri alternati mi ritrovo da primo in quel diedro d’argento, per fortuna non lo trovo così difficile, ci sono i chiodi adesso e so dove andare, posso proteggermi, ma quando sono alla sosta mi assalgono i brividi. I ricordi ritornano lucidi e spaventosi. Mi sembra impossibile e non riesco a capire cosa mi abbia spinto quel giorno ad allontanarmi così tanto da quell’unica certezza, da quel chiodo. E poi la roulette russa della calata su quel cliff, nel buio, è qualcosa di così lontano dalla razionalità che non potrei mai più rifarlo. In quel momento lì da solo, in sosta, le emozioni mi travolgono e più ritorno indietro con il ricordo, più le emozioni mi spaventano.

In quella nicchia rivedo gli amici, Heinz, Luisa, Bruno. E Roberto. Quando riparto sono diverso, confuso e non vedo l’ora di arrivare dove mi sono sentito davvero ancora più solo. È tutto più facile, più contorto, i cordini e i chiodi vanno a sinistra, in luoghi e verso buchi dove allora non ero mai stato. Poi la sosta, che io non avevo fatto e quella placca liscia verso la fessura dove non c’era nulla e non riuscivo a mettere niente, ma dovevo continuare a salire, a salire e a salire... ancora. Salire. Mi terrorizza pensare di averlo fatto e - anche se a fatica - capisco perché gli altri in sosta, quel giorno, si fossero slegati dalla mia corda.

Negli ultimi metri per raggiungere la fessura adesso si scende e poi si traversa con i piedi completamente spalmati, mi viene in mente Auer e la sua solitaria: complimenti. Dalla sosta continuo a guardare quel muro e il vuoto in basso che adesso si fa avvertire e mi rendo conto che dopo quel giorno non mi sono mai più sentito così solo al mondo, legato ad una corda.

Manolo insieme a Omar Genuin ha salito il Pesce il 27 agosto 2015, trent’anni dopo la sua prima salita.