Rinunciare
non è fallire

Il 26 febbraio 2016 Tamara Lunger e Simone Moro sono a qualche centinaio di metri dalla cima del Nanga Parbat e dalla prima storica ascensione invernale della montagna, che è stata tentata almeno venticinque volte negli ultimi trent’anni. Con loro ci sono lo spagnolo Alex Txikon e il pakistano Alì Sadpara. Tutti e quattro salgono senza corda, slegati. A meno di cento metri di dislivello dalla cima Tamara ha la sensazione che se salirà fino in vetta, anche se manca poco ormai, pochissimo, non riuscirà a scendere autonomamente, senza bisogno di farsi aiutare e assistere dagli altri. Lo confessa a Simone. La notte prima i quattro hanno bivaccato stipati in una tenda da tre persone a 7.100 metri. A causa della natura stessa della salita e delle difficili condizioni invernali nessuno di loro può definirsi perfettamente acclimatato per un assalto alla cima, inoltre i quattro sono al campo base del Nanga da ormai 80 giorni, quella che si sta per presentare è l’unica concreta possibilità di attacco alla cima. Sono tutti al limite delle forze ma ora il successo e la vetta sono lì, vicini, a portata di mano. Tamara si è svegliata vuota e ha camminato nella traccia di Simone. Nel caso riuscisse a raggiungere la cima sarebbe la prima donna a realizzare una prima ascensione invernale su una montagna di 8.000 metri. Non sta bene, ha vomitato la colazione e il suo stomaco non è in grado di trattenere niente, nemmeno acqua o il the caldo del thermos. Sono partiti alle 6 del mattino, la temperatura è di almeno quaranta gradi sottozero e c’è vento. Ora è pomeriggio.


Alle 3.37 del pomeriggio Simone, Alex e Alì sono in vetta al Nanga, è la prima ascensione invernale della montagna. «La vedevamo lì, poco sotto di noi - racconta Simone -. Era a una ventina di minuti dalla cima ma era completamente vuota e disidratata. Sapeva che salire comunque avrebbe significato arrivare in vetta ma anche farsi aiutare nella discesa. Anche noi eravamo esausti. Si è girata e ha iniziato a scendere. Non ho mai assistito in tutta la mia carriera alpinistica a un gesto di tale generosità e intelligenza. Tamara ha pensato a noi. A tutti, noi».


«Sollevo lo sguardo e vedo Alì che mi saluta dalla vetta. È su, è in cima, è arrivato. Ce l’ha fatta. Lui, ma non io. Se non fosse per il vento potrei sentire le sue parole, ma le raffiche sono troppo forti. Al centro del mio sguardo c’è un uomo felice che credo mi incoraggi semplicemente a raggiungerlo. Vorrei tanto essere lì da Alì, ma come?

Qui sotto, dove sono io, a una settantina di metri dalla cima, ci siamo solo io e una frase che mi rimbomba nella testa: se sali in cima, non tornerai più a casa. Il concetto è preciso, nitido, non mi serve ragionare a lungo su questo messaggio tanto è chiaro: guardo solo un’ultima volta in alto e poi volto le spalle alla cima. E comincio a scendere. Penso a loro che ce l’hanno fatta e spero abbiano capito che non sto più salendo, che non aspettino me, che mai arriverò lassù. Il Nanga mi ha insegnato che l’onestà e la correttezza sono la base fondamentale di ogni relazione. Senza, non esiste la fiducia, non ci si sente in sicurezza e si perde un po’ il senso per cui viviamo: provare a essere amore, rappresentare qualcosa di positivo per il mondo. Un amore che aspiri alla felicità nostra e se siamo abbastanza forti, anche a quella degli altri».