Quella notte

Per sette anni Nalle Hukkataival è tornato a Lappnor a provare lo stesso boulder, tentando di concatenare tra loro una successione di movimenti improbabili. Nel tempo il puzzle, tentativo dopo tentativo, si è lentamente composto.Il risultato è il primo V17 boulder della storia scalato con un paio di Solution ai piedi

Nalle Hukkataival dopo sette anni di tentativi ha realizzato nell’ottobre 2016 la prima salita del più atteso e probabilmente più tentato boulder della storia. Inizialmente denominato Lappnor project, si tratta di un blocco strapiombante di 45° alto circa quattro metri in granito situato in Finlandia. Per la prima volta nella storia è stata proposta la gradazione 9a (V17). Si tratta ad oggi del più difficile boulder mai salito. Il boulder si chiama ora ‘Burden of dreams’.


«Sono partito da solo dalla palestra e mentre ero per strada ha iniziato a piovere, non prometteva granché bene. In quel periodo dell’anno alle cinque del pomeriggio è già buio pesto. Stavo guidando senza nessuna fretta, poi sono arrivato al blocco e mi sono preparato, avevo due lampade e la telecamera da montare. Ho fatto le mie cose con tranquillità, era già notte e la temperatura non sarebbe più cambiata. Quando sono stato pronto per cominciare ho provato l’uscita una volta ed è andata benissimo.

Perfetto.


Poi ho fatto una lunga pausa e ho cercato di stare caldo e di non sprecare energie, proprio come ero riuscito a fare prima in palestra durante il riscaldamento, ho fatto solo il minimo indispensabile per essere pronto e restare concentrato. Dopodiché ho deciso di provare il primo movimento il che significava in sostanza fare un tentativo dall’inizio, partendo da terra. L’intenzione era quella di provare solo i primi movimenti, quelli della parte bassa. Sono partito. Ho fissato la prima tacca con la mano destra e l’ho sentita meglio di come l’avessi mai sentita in tutti questi anni, la tenevo in maniera perfetta. Perfetta. C’era. Mentre la tenevo sentivo una cosa diversa da tutte le altre volte, che non avevo mai sentito.


Mi era successo non più di due o tre volte in tutto in questi anni, di sentirmi così. Sentivo la mano destra veramente a posto e potente sulla tacca e la sensazione era che tutto fosse perfetto. La presa era perfetta. Io ero perfetto. Tutto il mondo intorno a me era perfetto e nitido. Perfettamente a fuoco. È stata una vera botta di energia, una scintilla che ha acceso qualche cosa dentro di me. Allora ho deciso di andare avanti con i movimenti anche per la parte intermedia e ho accoppiato con la mano sinistra cercando di portare anche il pollice sulla tacca e lì, in quel momento, ho messo un piede a terra. È successo per un secondo, comunque ho tenuto le prese e ho continuato, in ogni caso era un momento magico. Era assurdo. E sono uscito in cima al blocco. Sono sceso fino a terra ed ero eccitato e felice, incredulo, sono andato a vedere se la telecamera funzionava.


Era la prima volta che riuscivo a fare una cosa del genere, a scalare tutto il blocco partendo da seduto, anche avendo poggiato il piede a terra per un secondo era già il tentativo migliore di sempre. Quel fatto, quella convinzione di potercela fare, quello che ho sentito in quei momenti ha veramente cambiato ogni cosa.

Burden of Dreams è uno di quei progetti rari da trovare, posti sulla linea sottile tra possibile e impossibile. Non sai se riuscirai mai a salirlo. C’è una grande differenza tra il pensare che qualcosa è possibile e il sapere che è possibile perché ci sei quasi riuscito.
Si tratta di uscire da un mondo ed entrare nella dimensione successiva. Non è più una faccenda che ha a che fare soltanto con l’arrampicata, da quel punto in avanti. Ha a che fare con te e con quello che succede nella tua mente. È un’altra cosa. Un altro livello di percezione».


In tutti quegli anni e in tutti quei tentativi non ero mai riuscito a fare niente del genere, quindi in ogni caso quel giorno potevo già ritenermi incredibilmente soddisfatto per come era andata. Ma ero certo che ci fosse ancora qualcosa che doveva accadere. Non avevo più niente da perdere, ogni tensione era svanita e anche se fossi poi caduto su ogni singolo movimento nei tentativi successivi, beh quella sarebbe stata comunque una giornata veramente speciale.


Quindi ero davvero motivato e contento.

Mi sono riposato un po’ senza avere altre aspettative, ero lì nel bosco da solo. Poi dopo un po’ ho deciso di fare un tentativo serio. Mi sentivo ancora bene, fresco. Sono partito e ho fatto il primo movimento ancora in maniera perfetta, nello stesso modo di prima, stessa sensazione. Impossibile fare meglio di così. Ho alzato i piedi, abbassato il sinistro, ho aperto il destro, ho accoppiato le mani ed ero di nuovo al punto dove ero caduto al giro precedente. Quindi ho concentrato tutti i miei sforzi per riuscire a portare il pollice sinistro sopra al bordino della tacca e ho tenuto la sbandierata. Quello era già il punto più alto che avessi mai raggiunto su quel sasso.


Poi da lì in avanti non mi ricordo granché di quello che è successo. Ho continuato a scalare ed è stato in quel momento che il cervello si è veramente spento. Mi sono svegliato con le mani sul bordo e solo dopo riguardando il video mi sono reso conto di quello che era successo. Ho superato la prima parte, ho tenuto la tacca difficile e accoppiato, fatto tutti gli altri movimenti e sono arrivato al bordo d’uscita. E l’ho preso.


Sembra fatta.


Avrò fatto l’uscita almeno un milione di volte, tenevo il bordo in mano e penzolavo nel vuoto, da solo, al buio e non riuscivo a tenere il piede destro sull’appoggio. Provavo a rientrare con le gambe e ad appoggiare la punta della mia Solution sulla tacca ma non riuscivo a tenermi contro.

Durante i tentativi fatti in questa stagione mi ero accorto che è una cosa che può succedere. Fai tutti quei movimenti così intensi su quelle tacche così piccole e a quel punto la parte superiore del corpo è talmente contratta a causa dei movimenti e delle tensioni precedenti che risulta molto difficile oscillare il corpo all’indietro per riuscire a tornare a posizionare il piede destro sull’appoggio come lo tieni di solito.

Mi ero inventato quindi, nel caso mi fosse servito, questo metodo di uscita senza piedi, nell’eventualità non fossi riuscito a tornare sotto con le gambe. Quindi tallono, mi allungo oltre il bordo per cercare le prese d’uscita nell’oscurità e realizzo che tutto sta per finire. Alcuni movimenti ancora, mi alzo con i piedi, mi raddrizzo e alla fine sono in piedi sulla cima al sasso.

È tutto finito.

È stato quello il momento in cui mi sono svegliato e ho cominciato a rendermi conto di che cosa era successo. C’ero riuscito.
Non è mai quel grande spettacolo come ti fanno vedere nei film.
È solo un altro tentativo, uno in più. Non c’è qualcuno che ti dice: Hey, preparati perché questo sarà il tentativo giusto. È solo un altro tentativo su un milione, che eventualmente funzionerà. È così che funziona, è la vita e non si è mai veramente pronti per quello che ci succede nella vita.

Forse nei film o nei video di arrampicata tutto appare più epico, è come se uno si fosse preparato e si aspettasse qualcosa in più, come se tutto fosse necessariamente speciale, ma alla fine non lo è. Alla fine anche questa è normalità.


È il risultato di un processo.


È quasi malinconico, alla fine. Ci sono tante emozioni contrastanti ed è come se tu ti fossi immaginato qualcosa di diverso, ti aspettavi che fosse speciale o che ti rimanesse qualcosa, dal momento che ci hai messo dentro così tanti sforzi, così tanto tempo.

Ci hai messo dentro così tante energie e così tante emozioni e quello che ti ritorna indietro hai la sensazione che sia soltanto un attimo. Lo fai ed è già finito. Ti risvegli in cima al blocco e c’è un misto di sensazioni mescolate tra loro: sorpresa, sollievo, gioia. Confusione. Incredulità. Poi tutto confluisce in una sensazione di estasi e di lucidità. Quiete. E il mondo non ti sembra più come prima».