da una storia di Lorenzo Delladio

Quando tutto ha avuto inizio

In Italia nel luglio del 1985, a Bardonecchia, si svolge Sportroccia,

la prima gara di arrampicata sportiva della storia.

La Sportiva, c’è.

Il furgone Fiat 242 ha il serbatoio pieno ed è parcheggiato sul piazzale dello stabilimento di Tesero, pronto a partire. Bardonecchia è lontana, dalla parte opposta dell’arco alpino e a guardare con attenzione la carta stradale, cercando di capire dove passa lo spartiacque tra Italia e Francia, la Valle Stretta sembrerebbe già oltre la linea di confine. Ah, la Francia. I francesi sembra che l’arrampicata di alto livello l’abbiano inventata loro: hanno il Verdon, Buoux, Patrick Edlinger e Patrick Berhault, le scarpette EB e anche il Monte Bianco. Hanno la rivista Vertical. Le difficoltà sulle vie si cominciano anche da noi a misurare in gradi francesi e non c’è più il sesto, il settimo o l’ottavo grado, ci sono il 6c, il 7b, l’8a. Noi però abbiamo le Dolomiti. E Manolo.


E le Mariacher viola e gialle. È appena nata la rivista Alp, l’arrampicata sta esplodendo ad Arco, a Finale Ligure, a Sperlonga, ovunque in Italia. E poi a conti fatti anche metà del Monte Bianco, è nostro. Soffriamo soltanto un po’ di complesso di inferiorità, ma le prime gare di arrampicata del mondo occidentale, Sportroccia 1985, si disputeranno tra qualche giorno in Italia, mica in Francia. Le scarpe La Sportiva sono migliori delle EB.
Bardonecchia è quasi in Francia, però è pur sempre in Italia.


Il mio nome è Lorenzo Delladio, ho poco più di vent’anni ed ho appena finito il servizio militare presso il Centro di Addestramento Alpino della Polizia a Moena. Sono appassionato di rally e di competizioni in automobile. Mi piace molto arrampicare, sciare e fare alpinismo. Mio padre è Francesco ,  titolare del Calzaturificio La Sportiva, rimango il più possibile vicino a lui, mi sta insegnando il mestiere. Produciamo scarponi da montagna, il nostro prodotto di punta in questo momento sono delle scarpette da arrampicata rivoluzionarie. Sul lavoro lo seguo come un’ombra restando sempre al suo fianco, mezzo passo indietro, come mi pare giusto che sia. Credo lui lo facesse a sua volta con mio nonno Narciso, il fondatore della azienda, nata nel 1928 in Val di Fiemme. Lo ascolto, soprattutto. Mi guardo in giro. Cerco di imparare velocemente e di capire quello che mi si dice e quando mio padre mi chiede qualcosa, cerco di farmi trovare pronto, attento. Cerco di darmi da fare. Cerco di essere efficiente, rapido, sveglio. Tra qualche giorno a Bardonecchia si disputerà Sportroccia, la prima gara di arrampicata sportiva della storia ed io ho proposto a mio padre di esserci, vorrei andarci a rappresentare la nostra azienda. Mi ha detto di sì. Va bene vai. Ci sarò. Ci saremo, il Calzaturificio La Sportiva sarà presente. Faremo servizio gara agli atleti e li supporteremo al meglio con i nostri prodotti e le nostre scarpette. Il futuro dell’arrampicata e quello della nostra azienda passano da lì, dalla Valle Stretta, sulla Parete dei Militi e da Sportroccia. Non possiamo mancare.

Mi aggiro nel seminterrato della ditta trascinandomi dietro un borsone azzurro e fucsia con la scritta La Sportiva, cammino un po’ spaesato tra gli scaffali, non so esattamente cosa prendere con me. Nel furgone ho già messo delle scarpe nuovo modello e dei prototipi preparati per i nostri atleti di punta. Quando con mio padre ne abbiamo parlato sembrava tutto così facile e logico, ma ora? Abbiamo deciso di dare ai nostri atleti in gara un supporto simile a quello che ricevo quando gareggio nei rally: servizio corse, così lo abbiamo pensato. In realtà c’è poco supporto che io possa dare ai nostri atleti, me ne rendo conto adesso, qui nel magazzino. Cosa potrò mai portare con me, oltre alle scarpe? Infilo nella borsa un’infinità di stringhe - si potrà mai rompere la stringa di una scarpetta da arrampicata? Molto improbabile. Prendo anche delle suole di ricambio e le infilo nella borsa anche se so perfettamente che non mi serviranno mai. Sostituire una suola a una scarpa lontano dal nostro laboratorio è qualcosa che non abbiamo mai fatto per ora, ma magari, in futuro. Lì tra quegli scaffali in quel momento, tentando di riempire quel borsone, metto a fuoco il vero motivo per cui devo assolutamente essere a Bardonecchia a rappresentare la azienda di famiglia: per parlare con gli atleti, incontrarli, conoscerli e farci conoscere. Per farci vedere, dobbiamo esserci. Capiremo di cosa hanno bisogno gli atleti per poter arrampicare al meglio, su vie sempre più difficili e dovremo avvicinare i migliori campioni in circolazione.

Dobbiamo contattarli, fare amicizia, far conoscere e provare le nostre scarpe. Fare in modo che le usino e le promuovano. Dobbiamo capire come progettare le scarpette del futuro, il mio compito è fare quello che hanno sempre fatto mio padre e mio nonno prima di me: ascoltare i più esperti, i migliori e trasformare i loro consigli e le loro idee in nuovi prodotti, con nuove soluzioni. In fondo ha sempre funzionato così a La Sportiva, a cominciare dalle scarpe pensate per gli alpinisti ma derivate da quelle per i boscaioli che costruiva mio nonno Narciso, è per questo che la nostra azienda si chiama così: Calzaturificio La Sportiva, per distinguerla da tutte le altre che facevano scarpe da lavoro nei boschi. Noi produciamo scarpe da alpinismo e da arrampicata, per chi va in montagna.

Ora è chiaro cosa dovrò mettere nel borsone: prenderò delle lime, della carta vetrata di grane differenti e del solvente con cui pulirò, sgrasserò e scalderò le suole delle scarpette da arrampicata, in modo che gli atleti possano gareggiare al massimo dell'efficienza. Le suole in quel modo, avranno un’aderenza superiore Servizio agli atleti, raccolta di informazioni e farsi conoscere. Fare vedere che La Sportiva di Tesero, c’è e realizza delle scarpe innovative e performanti.

SPIRITO DI GRUPPO


«Stefan Glowacz aveva vinto la prima gara di arrampicata della storia usando le nostre scarpette. Era appena diventato una superstar dell’arrampicata ma non aveva abbastanza soldi contanti per tornare in Germania. Non c'erano i Bancomat, a quell’epoca. Allora ho guardato nel portafoglio e avevo centomila lire. Li ho dati a lui. Servizio agli atleti, era anche quello»

Lorenzo Delladio